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Martha
C. Nussbaum, L’intelligenza d=
elle
emozioni, tr. it. il Mulino, 20041
Come tutti i testi rece= nsiti in questa rubrica, potete leggere l’ampio saggio della Nussbaum da tanti punti di vista, compreso e non ultimo quello di rileggervi Platone, sant’Agostino, Dante, Spinoza, Emily Bronte, i Lieder della seconda di Mahler, Wa= lt Whitman e Joyce (ma prima di tutti Proust delle Fanciulle in fiore) secondo un file rouge arbitrario e a-filologico, ma di notevole tenuta tematica. Son po= co meno di novecento pagine su pochi temi, con una tesi stringente da dimostra= re con convinzione immutata dal primo all’ultimo rigo, e tre idee su que= sta tesi continuamente riproposte, prima speculativamente, poi nella rilettura degli autori citati, come si trattasse (se fossimo in campo polifonico) di = una ben strutturata fuga. L’ipotesi neostoica sulla abolizione delle emozioni, tanto ammirata per la forza etica di chia la propone e ripropone nella storia del pensiero, quanto ricusata per i pericoli di perdere (propr= io perdere e non solo amittere) uno dei motori reali dell’agire umano, viene pertanto abbandonata per partire alla ricerca di un nuovo fondamento del percorso. Lo si trova nella eudaimonia ora intesa come un equlibrio delle emozioni individu= ali tale da giovare in prima istanza allo sviluppo individuale e poi a quello generale. Si continua conferendo forse la maggiore importanza possibile e immaginabile ad una nozione di reci= procità che, se pare far leva su un normale (nonché evangelico) senso del ritorno su di noi delle nostre azioni sugli altri, vi= ene verificato in così tanti contesti sincronicamente sociali e diacronicamente culturali, da assumere una consistenza teorica che è= uno dei maggiori contributi speculativi del corposo saggio.
C’è davver= o di tutto, di quel che concerne l’emozione, e non solo perché alcu= ne parti sono, come di sovente, nate indipendentemente e poi comprese nel progetto, ma proprio perché si vuol veramente far risentire tante vo= lte lo stesso tema per non tralasciare alcuna delle capacità che quel te= ma ha di far luce sulla parte tacciata come massimamente irrazionale e incontrollabile dell’intelletto.
Ma<= /span> naturalmente non è di questo che ci occupiamo qui. Né per questo il libro si trova in questa rubrica.
Un primo motivo di interesse specifico precede comunque la lettura ste= ssa della fatica della Nussbaum. L’Autrice è una delle più illustri teoriche di una idea di fondo che anima questa sezione di questo sconosciuto e provinciale sito internet. Che la formazione scolastica sia sempre una formazione cultur= ale molto ma molto prima di essere un tirocinio alla vita lavorativa; che la vi= ta scolastica sia il fine dell’esistenza storica dell’individuo e = non un mero strumento per la sua affermazione futura, dato che nella scuola si è a contatto col progresso umano e ci si fa portatori di quel progre= sso. Che l’importante sia la formazione umanistica e quella scientifica in= tese ambedue, ancora una volta, come fine e come esercizio della conoscenza, di = se stessi e della natura fuori di noi, e che questo esercizio non possa per sua natura divenir servo della tecnologia o strumento di affermazione a prezzo della negazione sociale degli altri. Sarebbe bastato dunque il titolo per annunciare questo saggio come una possibile fortissima base teorica all’idea di educazione umanis= tica di cui sopra.
E anche da tale angolazione, non tradisce.
Le emozioni hanno in sé, costitutivamente, il pensiero del
valore o dell’importanza dell’oggetto. Anzi, questo pensiero del
valore è il modo fondamentale in cui l’emozione caratterizza il
proprio oggetto; per altri versi emozioni come paura, dolore, amore erabbia=
sono molro flessibili quanto ai loro oggetti. Possiamo=
amare
le persone o le cose, soffrire la perdita di un animale o di un bambino =
211;
quel che è cruciale per l’emozione è il valore di cui
l’oggetto è stato investito. Le emozioni quindi sono pervase di
valore e (…) flessibili in quanto all’oggetto.
Si afferma così = dopo secoli la possibilità di non non rinuncia= re alle emozioni da parte del saggio. Non solo: si connette al mondo delle emozioni quello dei valori e della conoscenza di qualcosa fuori da noi. Come dire, alla parte immaginativa la parte razionale della formazione intellettuale. Vuol dire quasi aver trovato quel che mancava per= il superamento delle due culture e dell’impasse dell’interdisciplinarietà.
Non= solo: siamo davanti alla coscienza teorica di un’intuizione di molti: cito a memoria l’architetto Giancarlo de Carlo che riponeva fiducia nello sviluppo urbanistico della Spagna rinata alla democrazia sulla base dello s= pessore umanistico della formazione generale degli architetti iberici.
Non mancano brani e int= eri capitolo di diretto respiro pedagogico. Importantissim= o il contributo sulla relazione tra immaginazione e narrazione.
Le opere d’arte narrativa sono importanti per ciò che
mostrano a chi desidera comprendere le emozioni; e sono imporanti anche per
come operano nella vita emotiva. Non rappresentano semplicemente quella sto=
ria,
sono parte di essa. La narrazione di storie, e il
gioco narrativo, sono essenziali nel coltivare n=
ella
bambina la coscienza della propria solitudine, del proprio mondo interiore.=
(…) Passare il tempo in giochi narrativi le ha
già procurato dei modi di comprendere il dolore che i suoi pensieri
distruttivi possono infliggere agli altri, e di valutarli appieno. Allo ste=
sso
tempo le narrazioni hanno nutrito la curiosità, lo stupore, il piace=
re
percettivo, rafforzando la sua capacità di vedere gli altri in modo =
non
strumentale (…), come degli oggetti di stupore in sé. (…) Questo progetto di comprensione, a sua volta,
combatte la depressione e l’impotenza, nutrendo l’interesse del=
la
bambina per la vita in un mondo nel quale non è perfetta né
onnipotente. E infine, e cosa forse più importante, presentando
l’imperfezione in forma piacevole e giocosa, il gioco narrativo
può sradicare la vergogna primaria per tutto ciò che è
umano, aiutando la bambina a sviluppare una certa tolleranza, e persino gio=
ia, nei
confronti della vita di esseri imperfetti. E se ho ragione, questo sviluppo a sua volta contribui=
sce
alla lotta dell’amore e della gratitudine contro l’ambivalenza,=
e a
quella dell’impegno e della cura contro l’impotenza e la perdit=
a.
Si perdonerà la = lunga citazione ove si pensi che qui, in forma di riflessione pedagogica, si affe= rma un principio che rimarrà fondamentale nei numerosi capitoli successi= vi e che costituirà un criterio di analisi del= la società americana e un criterio di lettura per Whitman, Mahler, Joyc= e. Sullo stupore come connesso ai nostri rapporti con l’arte si tornerà spesso:
(…) lo stupore e la gioia (…) assumono l’opera musicale a
proprio oggetto intenzionale, considerandolo di valore intrinseco. Anzi è proprio perché le opere d’a=
rte
possono suscitare queste emozioni non-eudaimonistiche che esse sono anche u=
tili
media per la scoperta di sé: rendono meraviglioso e gioioso un proce=
sso
che sarebbe altrimenti penoso.
Non c’è ni=
ente di umano che
Lo stesso interesse egoistico, attraverso il pensiero della comune
vulnerabilità, favorisce la selezione di principi che migliorano le
prospettive dei meno avvantaggiati.
La stessa compassione può essere necessaria come guida per una buona teoria del valore.
Una pubblica educazione deve innanzi tutto coltivare la capacità di immaginare le esperienze di altri e di partecipare alle loro sofferenze. Si delinea= una nozione di humanitas che potr&a= grave; sorreggere interessanti esperimenti nella formazione futura dei giovani, co= n la posizione di finalità di sviluppo generale della società non misurato solo su crescite economiche, ma soprattutto su quei diversi indica= tori che un recente Nobel auspica.
In precedenza, quando il benessere di una nazione veniva misuratoda=
lle
organizzazioni per lo sviluppo sotto la guida di economisti
esperti in materia, la più comune strategia era di gran lunga quelle=
di
individuare il PIL pro capite. Approccio rudimentale, che non ci dice molto=
di
quel che la gente fa: non descrive nemmeno la distribuzione della ricchezza=
e
del reddito e ancor meno indaga la qualità della vita.
Anche troviamo una nuova nozione di sviluppo nella seguente frase contenuta nel capitolo su Agostino, ma cifra generale del lungo discorrere:
(…) se è un beme ascendere, cancellando dal cuore il peccato,
è anche un beme riconoscere il nostro profondo bisogno delle fonti d=
el
bene al di fuori di noi, e non sollevarsi quindial di là
dell’imperfetta condizione umana.