MIME-Version: 1.0 Content-Type: multipart/related; boundary="----=_NextPart_01CC59CE.C665B0F0" Questo documento č una pagina Web in file unico, nota anche come archivio Web. La visualizzazione di questo messaggio indica che il browser o l'editor in uso non supporta gli archivi Web. Scaricare un browser che supporti gli archivi Web, come Windows® Internet Explorer®. ------=_NextPart_01CC59CE.C665B0F0 Content-Location: file:///C:/48FEC9E1/balzola.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii"
Andrea Balzola<=
/span>
e Paolo Rosa, L’arte fuori di=
sè. Un manifes=
to per
l’età post-tecnologica, Feltrinelli, 2011.
Eh sì: a forza di civettare c=
on
la tecnologia, se ne rimane evidentemente innamorati, o meglio stregati. La
giustificazione è sempre la stessa: traiamo le conseguenze della
digitalizzazione, sfruttiamone le enormi capacità. Ma dove sta la
differenza con l’adeguamento acritico ? Aldo Man=
uzio,
sfruttando il nuovo strumento, non pensò di sov=
rammettere
i suoi torchi alla sapienza antica, nè c=
hi
ricopiava i codici in minuscola pensò in tal modo di alterare il
significato delle parole che trascriveva, così come coloro che diffu=
sero
i codici al posto dei rotoli. Chiara rimaneva ogni volta la dialettica tra
strumento e fine e la tecnologia rimaneva al suo, importante, posto. La
macrotautologia tecnologicista, o forse la pres=
unta
imprescindibilità dell’era informatico-di=
gitale
nella interpretazione chiliastico-modernista de=
lla
storia dell’umanità, impera e, alleandosi con i residui sponta=
neisti
(forse il più innocuo e controllabile degli sciami sismici di quel
fenomeno) di una rivoluzione mancata per un soffio quarant’anni fa,
invade vittoriosamente anche il mondo degli artisti antagonisti.
Eh sì: il vero volto di questo
libro purtroppo, se prima lo si sospetta, si scopre alla fine, quando senza
pudori prorompe l’ammirazione per il modello imprenditoriale e produttivista, quello che aveva invaso il teoricismo e il teoreticismo
della programmazione educativa e formativa qualche anno fa e ora si sperava
stesse morendo in una lenta e anonima agonia.
Eh sì: quello spontaneismo che faticava a trovare i mezzi per esprimersi e per attaccare il reale (di qui = la impressione di innocuità) ora li avrebbe reperiti grazie all’interattività del digitale e della rete (anzi ! la Rete).<= o:p>
Eh sì: quel problemino che era
sorto per l’estetica classica e per l’arte figurativa in genere=
al
tempo della infinita riproducibilità dell’oggetto bello,
quell’alienazione dell’artista che vedeva sfumare il suo privil=
egio
di compiere un lavoro concreto e non mercificabile anche se commissionato e venduto, ora &egra=
ve;
risolto dall’interattività garantita dalla rete, che è =
péndant e allo stesso tempo
garante del nuovo ruolo dello spettatore (anzi ! spett=
-attore)
rispetto alla tirannia dell’artista nei suoi confronti: ora siamo
più tranquilli e le altre tirannie possono anche rimanere, magari an=
che
quelle che dominano la rete.
E dire che si era iniziato bene, qua=
ndo
gli autori se la prendevano con
un
sistema che ha “borsificato”gli art=
isti
trasformandoli in quotazioni, che ha essiccato la linfa vitale dell’a=
rte
e mummificato la ricerca espressiva. Questo presuppone una forte e radicale
spinta di controtendenza e anche una capacità di riportare l’a=
rte
al suo senso originario di pratica del dono (in corsi=
vo
anche nel testo)
Ma il guaio viene quando il bagno
tecnologico è visto come soluzione: non un incontro malandrino con la
tecnologia, nè un’appropriazione
linguistica: proprio un rapporto viscerale, esaustivo, quintessenziale,
A
noi non interessa un rapporto artistico con l’innovazione tecnologica=
di
pura fascinazione, di spettacolarizzazione, di gioco illusionista o di faci=
le
provocazione nei confronti del potenziale pubblico dell’arte; ci
interessano invece l’attenzione consapevole a tutti i segni sconosciu=
ti
dell’universo tecnologico e la loro manipolazione per schiudere,
attraverso di essi, nuovi orizzonti di senso.
Eh sì: fin qui comunque
quell’attraverso di essi =
blocca
l’allarme. Sembra ancora che sussista qualcosa di strumentale. Ma
l’attenzione va invece posta ai segni
che qui gli autori usano nel senso più pregnante: ormai è sol=
o la
tecnologia a offrire segni: ogni altra comunicazione della realtà e =
dei
suoi sensi è roba del passato.
Eh sì: a dare garanzie, anche=
ai
nipotini di padre sessantotto è il mondo dell’imprenditoria.
Quando ci si avvia alla conclusione lo si confessa e si dichiara
l’amore verso chi la
tecnologia l’ha in mano e la tiene ben salda.
Ma
nel frattempo il mondo dell’imprenditoria è molto cambiato, per
certi versi si è involuto (inseguendo la concorrenza globale, con le
dislocazioni produttive, i prodotti di bassa qualità e l’erosi=
one
dei diritti dei lavoratori), ma per altri versi si è anche evoluto
(integrando una sensibilità ecologica ed etica, curando il territorio
con investimenti di pubblico interesse, avviando nuove forme di produzioni e
distribuzioni ecosolidali).
Eh sì: dopo questo canto
d’amore, dopo questo panorama rassicurante per tutto il terzo mondo, =
per
tutto l’ambiente che correva qualche rischio, per chi temeva il disse=
sto
del territorio, per gli ingrati precari, ci risulta finalmente chiaro quel =
che
ha ancora da fare l’arte se non vuol morire: andare oltre la logica del puro sponsor o della committenza aziendale =
per
sviluppare col sistema impresa =
un rapporto di cooperazione progettuale=
i>.
Ora siamo davvero più tranquilli sulla libertà e la
gratuità del lavoro dell’artista.
Eh sì: ma veniamo alla scuola=
. E
naturalmente parliamo non delle nostre sobrie scuole dove si tenta di andare
avanti con sobri finanziamenti e di accogliere tutti i figli dei cittadini
della repubblica, ma di aule avanzate e tecnologiche, dove i figli di coloro
che son riusciti a generarli con doti di creatività abbiano tutta la
tecnologia per sviluppare quelle doti. Tanto a pagare, sembra di capire, non
sarà un ministero sgarrupato e scarsamen=
te
alimentato da un gettito fiscale taglieggiato dall’evasione e dalle s=
pese
inutili, ma certo la cooperazione con l’imprenditoria. In queste aule
supertecnologiche è vietato soprattutto trasmettere conoscenze e anc=
or
più soprattutto è vietato trasmettere la storia dell’ar=
te, perchè il passato non fa parte della formazion=
e.
Servono
luoghi aperti, attrezzati e confortevoli, in grado anche di prefigurare un
passaggio fluido dalla dimensione formativa a quella professionale, dove il
gruppo creato nel percorso scolastico sia come una cellula che scivola
naturalmente fuori dall’organismo formativo per innestarsi nella
società e nel mercato del lavoro.
Eh sì: i toni son quelli di
un’offensiva utopia (appena ce la facciamo a garantire la sicurezza e=
la
decenza e qui si propongono prati e fiori), ma in realtà si sfocia
subito nella distopia: la visio=
ne del
futuro degenerato dove si è perso il libero sviluppo della personali=
tà
e la formazione serve solo per inquadrarci nel mondo del lavoro, anzi, nel
mercato del lavoro, perchè in quel futuro
distorto il mondo non esiste più se non nella forma di mercato.
Eh sì: provate a leggerlo, qu=
esto
libro venuto fuori dall’esperienza di Studio
Azzurro e poi dite a chi scrive queste note se anche a voi ha fatto la
stessa paura.